L’Italia della cucina Unesco e della Dieta mediterranea sotto attacco dei surrogati artificiali della nutrizione

I volumi di vendita di prodotti ultraproteici sono aumentati del 5% e il giro d’affari è cresciuto del 20% nel 2023.

Il mercato globale vale già 4,1 miliardi di dollari e si stima che raggiungerà i 10 miliardi entro il 2032. Un trend in crescita verticale spinto dai social che stanno trasformando intere generazioni in consumatori seriali di alimenti studiati in laboratorio, più vicini a un esperimento che a un pasto autentico. I cibi ultra-processati sono associati a un aumento significativo delle malattie cardiovascolari. E un aumento del 10% di cibi ultra-processati nella dieta porta a un +14% di mortalità complessiva. Sotto attacco c’è anche il microbiota intestinale. Additivi ed emulsionanti dei prodotti industriali alterano i batteri intestinali benefici, favorendo l’infiammazione cronica e la permeabilità intestinale. Problemi da cui possiamo stare alla larga difendendo la nostra buona Dieta Mediterranea e tappandoci le orecchie alle sirene del marketing finto salutista

 

L’analisi di VITO AMENDOLARApresidente Osservatorio Dieta Mediterranea

Sotto i colori brillanti delle barrette fosforescenti, degli  yogurt “high protein” che promettono miracoli e le bottiglie di acqua proteica che affollano gli scaffali dei supermercati, si nasconde la nuova ossessione alimentare. Essa sta conquistando i giovani italiani – sono prodotti ultra-processati iperproteici – ma non è una rivoluzione salutistica: è un’operazione di marketing travestita da benessere. Si stima che in Europa, il 25% delle calorie consumate viene fornito dai prodotti  ultraprocessati e in alcuni Paesi si è arrivati a oltre il 40% (Regno Unito, Germania e Svezia), con un mercato saturo. L’Italia, con consumi più bassi rispetto al nord Europa, appare all’industria Upf (ultra-processed-food) come una prateria da conquistare dove ogni nuovo prodotto ad alto contenuto proteico può trovare spazio e penetrare rapidamente. Un mercato di decine di miliardi, alimentato dai social e dalla corsa al corpo “perfetto”, sta trasformando intere generazioni in consumatori seriali di alimenti studiati in laboratorio, più vicini a un esperimento che a un pasto autentico. 

 

Lo dicono i dati. In un focus pubblicato online dall’Istituto Mario Negri Irccs si cita l’Osservatorio “Immagino GS1 Italy”, secondo cui i volumi di vendita di prodotti Hp (high proteic) nel 2023 sono aumentati del 5% e il giro d’affari è cresciuto del 20%. Il mercato globale vale già 4,1 miliardi di dollari e si stima che raggiungerà i 10 miliardi entro il 2032. I social spingono verso il cambiamento delle abitudini alimentari, che amplifica  il trend di un fenomeno globale partito dagli Usa e rapidamente diffuso in Europa e in Asia. Oggi spopola in particolare fra gli appassionati di sport e fitness, fra chi sogna muscoli definiti e una forma fisica ‘senza un filo di grasso’ e chi vorrebbe dimagrire e si convince che una dieta a tutte proteine possa accelerare i tempi senza controindicazioni. Eppure i rischi sono chiari, e gli esperti lo ripetono: troppa proteina, soprattutto industriale, fa male, e fa male dappertutto: reni, cuore, intestino, metabolismo.

 

La scienza è netta a riguardo: uno studio pubblicato su “Nature Metabolism” ha dimostrato che superare il 22% delle calorie giornaliere provenienti da proteine, attiva cellule immunitarie che accelerano la formazione di placche aterosclerotiche, aumentando il rischio cardiovascolare (Witkowski et al., 2020). E non è tutto. Il “British Medical Journal” nel 2019 ha evidenziato che i cibi ultra-processati sono associati a un aumento significativo delle malattie cardiovascolari, mentre una ricerca pubblicata su “JAMA Internal Medicine” ha collegato un aumento del 10% di cibi ultra-processati nella dieta a un +14% di mortalità complessiva. Gli effetti non risparmiano il microbiota intestinale. Secondo “Cell Host & Microbe”, additivi ed emulsionanti tipici dei prodotti industriali alterano i batteri intestinali benefici, favorendo l’infiammazione cronica e la permeabilità intestinale. Anche i reni pagano il prezzo della moda proteica, secondo studi clinici le diete ricche di proteine  accelerano il declino della funzione renale in soggetti predisposti.

 

Il paradosso è evidente: nel Paese che custodisce la Dieta Mediterranea e il riconoscimento Unesco della Cucina, che può vantarsi di avere un modello alimentare unico al mondo, che racchiude in sé una forza e una legittimazione scientifica, dilaga senza ostacoli una dipendenza da alimenti prodotti in laboratorio. È come avere uno Stradivari e suonarlo con le corde di nylon di un giocattolo. Il vero problema è che manca ancora una presa di coscienza reale su quanto sia utile e vantaggioso aderire alla Dieta Mediterranea, corroborata oggi dall’ulteriore riconoscimento Unesco. L’adesione al modello più sostenibile al mondo, non è una raccomandazione astratta, sono migliaia le ricerche che continuano a dimostrare la sua forza scientifica: uno per tutti il celebre studio “Predimed” pubblicato sul “New England Journal of Medicine”, ha documentato una riduzione del 30% dei rischi cardiovascolari. E ricerche pubblicate su *Gut* hanno mostrato come questo modello alimentare migliori il microbiota e riduca l’infiammazione.

 

La conclusione è semplice: non abbiamo bisogno di barrette proteiche o gel “fit”. Abbiamo bisogno di tornare o, meglio, ripartire dalla sobrietà e dal cibo vero. Avendo consapevolezza che la Dieta Mediterranea non è una moda ma una certezza che ci mette nelle condizioni di  prevenire le malattie, ridurre i costi sanitari e migliorarci la qualità della vita. Troppo bello per essere vero,? No è la scienza che lo conferma..

 

Fonti Scientifiche1. Witkowski K.A. et al. (2020). Nature Metabolism. 2. Schnabel L. et al. (2019). BMJ;365:l1451. 3. Fiolet T. et al. (2019). JAMA Internal Medicine. 4. Steinert R.E. et al. (2021). Cell Host & Microbe. 8. 5. Estruch R. et al. (2013). New England Journal of Medicine (PREDIMED). 6. Ghosh T.S. et al. (2020). Gut.